L’invenzione, intesa come idea che determina un progresso tecnologico per la società, è spesso figlia del caso e della fortuna, dei “lampi di genio” di alcune persone che hanno visto ciò che molti non avevano notato. Pensiamo ad esempio a Nikola Tesla e alla corrente alternata o ai fratelli Wright e all’aeroplano. Storie che ci fanno sognare ma, come dicono chiaramente gli autori di “Macchine che pensano”, brillante testo sulla nuova era dell’intelligenza artificiale (New Scientist – edizioni Dedalo) “lungo questa strada i progressi della tecnologia sono dolorosamente lenti”.

Ma se i computer potessero aiutarci a “creare” le illuminazioni? Gli algoritmi genetici sono strumenti per risolvere problemi di ricerca e di ottimizzazione che seguono un procedimento euristico ispirato alla genetica e al principio della selezione naturale di Charles Darwin: imitano il modo in cui la natura migliora le sue creazioni per renderle le più adatte all’ambiente e alla sopravvivenza, per renderle efficienti.

Negli anni ’90 il gruppo di John Koza presso l’Università di Stanford (CA), ha cercato per la prima volta di imitare l’evoluzione nella progettazione di nuovi brevetti, applicando i suoi algoritmi ad alcune invenzioni chiave della progettazione elettronica dei Laboratori Bell, riuscendo a reinventare tutti i circuiti classici e in alcuni casi migliorandoli. Da allora, gli algoritmi genetici sono stati utilizzati numerose volte per rendere progetti più efficienti in meno tempo o generare innovazioni in grado di competere con quelle umane. Un progetto in collaborazione tra l’Università del Michigan e l’Università Tecnica di Delft ha impiegato un algoritmo genetico per generare il progetto di un ponte più efficiente. Mentre gli algoritmi genetici hanno contribuito a sviluppare i progetti di un’antenna evoluta per le missioni shuttle della NASA.

Unico problema: bisogna sapere in anticipo cosa si vuole inventare, perché il programma possa modificare l’idea iniziale nel miglior modo possibile. Gli algoritmi eccellono nell’ottimizzazione di invenzioni già esistenti ma non a creare ex novo. Ecco perché parliamo di A.I. e innovazione, non invenzione. Questo però non significa che A.I. e algoritmi genetici non possano realmente aiutare e accelerare l’innovazione: la Innovation Accelerator (azienda del Massachussets) ha scritto un software in grado di descrivere un problema in linguaggio umano e quindi smontare questa descrizione in frasi correlate con cui esplorare il database dello US Patent and Trademark Office in cerca di invenzioni che risolvono problemi simili, facendo sostanzialmente la parte di lavoro legata al pensiero laterale.

La Iprova, società specializzata nel generare nuove invenzioni, stimola gli inventori a usare il pensiero laterale a partire da fonti diverse dai documenti brevettuali: questa tecnica chiamata Computer Accelerated Invention, suggerisce ai clienti opportunità di innovazione interrogando anche blog, siti di informazione online e social network, variando le sue indicazioni al variare dei trend tecnologici in internet. Sistema che pare efficace, visto che tra i suoi clienti può vantare famose aziende dell’industria automobilistica e delle telecomunicazioni, oltre che la Philips…!

Se dunque non si può parlare di A.I. e invenzioni, nel senso che normalmente attribuiamo alla parola, non si può però negare che i software creativi possono aiutare e rendere gli accostamenti casuali alla base del lampo di genio molto più comuni sostenendo il progresso tecnologico.