Il 21 aprile scorso la Commissione europea ha pubblicato la proposta della nuova Direttiva europea sul Reporting Aziendale di Sostenibilità (Corporate Sustainability Reporting Directive – CSRD), evoluzione della Direttiva 2014/95/UE che ha introdotto in Europa l’obbligo per le imprese di comunicazione di informazioni di carattere non finanziario (recepita in Italia con il D. Lgs. 254/2016).

La Direttiva si inserisce nel processo europeo di conversione del sistema produttivo verso un modello a basse emissioni, già avviato con l’Accordo di Parigi, l’Agenda 2030, il Green Deal, l’Action Plan on Sustainable Finanze e l’UE Green Taxonomy. Mirando a tale obiettivo, l’Europa, per un verso, mette a disposizioni ingenti finanziamenti in tecnologie green e, per altro verso, indirizza l’allocazione del risparmio privato verso in investimenti sostenibili.

Lo scopo della CSRD è di fare in modo che le imprese forniscano tutta una serie di informazioni in materia di fattori ESG e intangibili utili a valutare se la loro attività è o meno sostenibile e come classificabile ai fini della EU Sustainable Finance Disclosure Regulation e del Sustainable Finance Supporting Factor. È quindi importante che l’informativa ESG offerta dalle imprese sia allineata alla domanda di informazioni ESG da parte degli operatori finanziari guidata questa a sua volta da requisiti regolamentari.

La direttiva, inoltre, non è destinata solamente agli investitori, ma anche ai consumatori e a tutti gli stakeholders che vogliono conoscere l’impatto delle imprese sulla società e sull’ambiente; stakeholders sempre più consapevoli che, con i propri comportamenti, spingono le imprese a modificare le proprie strategie a favore della sostenibilità. Di qui l’importanza del concetto di doppia materialità, termine con cui ci si riferisce all’impatto finanziario (delle variabili ESG sulla performance finanziaria) e socio-ambientale (delle attività d’impresa su ambiente e società) dell’impresa.

La proposta prevede una rilevante estensione dell’ambito soggettivo dell’obbligo di rendicontazione rispetto alla Direttiva 2014/95/UE, ricomprendendo tutte le grandi imprese, le banche, le assicurazioni e tutte le società quotate, escludendo solamente le micro-imprese quotate. Le stime pubblicate ad oggi prevedono la quadruplicazione del numero di società interessate dalla disciplina.

Per riempire di contenuto la direttiva ed allinearla alle informazioni ESG richieste, è prevista l’adozione di uno standard di riferimento europeo, differente a seconda delle dimensioni dell’impresa. Gli standard saranno pubblicati in due tranche, la prima entro il 31.10.2022 e la seconda entro il 31.10.2023, e poi revisionate con cadenza triennale.

La Direttiva potrebbe, dunque, essere approvata nella seconda parte del 2022, perciò le imprese dovranno produrre i primi report di sostenibilità nel 2024 con riferimento all’esercizio 2023.

Si badi che, sebbene non evidente ad una prima occhiata, il perimetro di rendicontazione è più ampio di quanto appaia. In alcuni punti la proposta non si limita a sancire un obbligo di rendicontazione delle performance aziendali, bensì lo estende a tutta la catena di approvvigionamento dell’impresa. Se dovranno essere inclusi anche i fornitori nei processi di rendicontazione delle grandi imprese, di fatto anche le PMI facenti parte della supply chain saranno sollecitate a fornire dati, sebbene non obbligate ex lege a rendicontare. Dunque, si assisterà a un cambiamento epocale che avrà dei riflessi anche sulle PMI.

SKAN sostiene i propri clienti nell’avvicinamento al percorso di rendicontazione, assistendoli nella redazione del Reporting di Sostenibilità e nella preparazione del materiale e delle attività preliminari per farsi trovare preparate all’entrata in vigore della normativa.